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Una maschera un volto un paese

Fotografie di Carlo Andreani – Fabrizio Cimini – Fabrizio Baldazzi – Paolo Lolletti

Una Maschera un Volto un Paese

Quando INDOSSARE UNA MASCHERA NON E’ FOLKLORE MA PURA IDENTITA’ DI APPARTENENZA AD UN POPOLO

In un’ottica di pura documentazione, quale patrimonio immateriale del tessuto sociale italiano, si annoverano i rituali apotropaici propiziatori di origine idolatra e pagana che in alcune zone della penisola ancora esistono e resistono. La culla più evidente di questi arcaici cerimoniali è la Sardegna. La zona interessata è la Barbagia, nel Nuorese, dove questi riti si esprimono al meglio nel periodo del carnevale. Numerosi visitatori vengono da tutto il mondo per assistere a queste rappresentazioni e si suddividono in quattro categorie: i cittadini-migranti, i turisti, gli studiosi di demoetnoantropologia e i documentaristi. È indubbio quindi il loro valore che si esprime attraverso le maschere, le danze e la mimica che, si rammenta, sono originari di un ceto popolare contadino e agropastorale con usanze che si tramandano da padre in figlio da sempre. In questo humus sociale si comprendono anche i racconti storici e documentari che vanno oltre la memoria dell’uomo. Certamente le tracce sono indelebili sul territorio vista la forza e il vigore che si usa nelle dimostrazioni che sono si espressione dei popoli, ma anche identitarie e caratterizzanti per ogni rituale tribale. Infatti, nella Barbagia della Sardegna più autentica e vera, ogni paese assume una sua fisionomia nei cerimoniali, mostrando maschere e danze diverse. Si mettono oggi in scena maschere antropomorfe e animalesche con vestiti che prendono in dote, soventemente, la pelliccia dei caproni. Si ricorre anche a campanacci messi sulle spalle a ed alla cintola che, scuotendole, producono un cupo rumore. Alcuni, al posto dei campanacci, usano ossi buchi con all’interno delle ossa più piccole che sbattendo tra loro producono un gelante crepitio. Si usa inoltre la cenere per scurire il volto o unguenti misti tra olio, cenere, sughero finemente sbriciolato e altri elementi che vanno a coprire buona parte del corpo. In alcuni casi i riti sono anche sacrificali e si inscena per questo la fuoriuscita di sangue animale che, pizzicando una sacca intestinale, fa si che il rito venga compiuto. Il percorso che si propone è dunque una pubblicazione fotografica che porti a conoscenza queste
usanze dei riti dell’abbondanza e della veemenza che, per certi versi, venivano probabilmente espressi anche nel resto d’Italia in quanto riti precristiani. In questo quadro si auspica una ricerca dei riti da parte degli studiosi anche nel resto d’Italia per valorizzare la nostra storia, le nostre consuetudini e avvalorare la nostra antica cultura che fu l’avvio per la costruzione delle società moderne. Infine la gente, qui gentile sopra ogni modo, da chiarificazioni, delucidazioni e informazioni a chiunque mostri interesse, mettendosi a sua completa disposizione, compreso un bel bicchiere di vino rosso per brindare insieme. È significativo poi notare come tutti i paesi si muovono in questo ambito come se fosse una enorme ed energica massa che si sposta in ogni dove, che si divide e poi si intreccia, fino a ad assumere un vigoroso flusso magnetico che accalappia lo sguardo dei presenti risvegliando in loro stupore e primitive sensazioni

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W. Shakespeare ‘Macbeth’: atto III, scena II

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Carrasegare

Il termine “Carrasegare”, il carnevale come comunemente si intende,
in Sardegna ha un significato ben definito
“Il significato del termine Carrasegare è: carne umana
(carne viva) da lacerare. Perché?
Perché in sardo la carne acquistata dal macellaio si chiama Petza,
mentre la nostra carne, quella umana, quella viva, la chiamiamo Carre.
Nel lontano passato le vittime sacrificali venivano flagellate
e la loro carne veniva strappata a brandelli.
Questo e testimoniato sia nei racconti mitologici sia in quelli religiosi,
dove a quando Re, a quando Dei, o ritenuti tali,
venivano sacrificati e uccisi con questo supplizio.
Gli esempi sono tanti: il Dio egizio Osiride venne ucciso e le sue carni
dilaniate, fatte a pezzi, dallo spietato fratello Set. Così il Dio persiano Mitra,
quello greco Dionisio, lo stesso Cristo, morirono dopo essere stati flagellati.
Questa stessa sorte toccò anche ad altri Dei.
Quelli delle Maschere, sono la rappresentazione di Riti Propiziatori,
che servivano agli uomini per ingraziarsi gli Dei, in questo caso il Dio,
affinché inviasse sugli aridi campi abbondanti piogge che
permettessero buoni raccolti e verdi pascoli per il bestiame.
Il Sangue della vittima serviva a bagnare e nutrire la terra,
perché si era convinti che il Sangue richiamasse l’acqua.
I Riti era doveroso compierli, perché davano speranza ai popoli.
Un cattivo raccolto dovuto alla siccità significava fame, due annate
di seguito diventava carestia, quindi malattie e morte certa.
Per questi motivi la paura era tanta, al pari della speranza”

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